Zero – L’invisibile diventa visibile

È uscita il 21 aprile su Netlix, Zero, la serie composta da 8 episodi di circa 30 minuti e liberamente ispirata dal libro Non ho mai avuto la mia età di Antonio Dikele Distefano, il quale insieme a Menotti ne ha curato la scrittura.

Io l’ho guardata in due giorni e l’ho trovata molto originale, innovativa e soprattutto rappresentativa soprattutto per molti ragazzi di seconda generazione che oggi ancora non hanno visibilità in diversi ambiti e sono di fatto invisibili ma che con questa serie sono ben visibili e protagonisti della loro storia, anzi fumetto, e con i loro superpoteri.

Scopriamola insieme.

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#BlackLivesMatter – la docu-serie When They See Us

Con questo articolo mi piacerebbe iniziare un’altra tematica che mi sta a cuore, oltre a quella arcobaleno LGBTQ+, la lotta contro il razzismo rappresentata dal movimento Black Lives Matter (in italiano “le vite dei neri contano”). Mi piacerebbe raccontarvi e recensirvi alcune serie o film che affrontano in modo vero ed empatico cosa significa essere neri e vivere sulla propria pelle discriminazioni e violazione dei propri diritti quotidianamente. Ma prima di raccontarvi la miniserie When They See Us, tratta da una storia vera, vorrei brevemente parlarvi del movimento BLM.

Il movimento Black Lives Matter nasce nel 2013 a seguito della morte del 17enne afroamericano Trayvon Martin per mano del poliziotto George Zimmerman a Sanford, Florida, nel febbraio 2012. Il ragazzo stava semplicemente camminando per strada all’uscita da un negozio ed indossava una felpa con il cappuccio che gli copriva la testa, come faceva spesso. Il poliziotto che quel giorno era di ronda nel quartiere lo vide e lo reputò un soggetto sospetto, lo segnalò in centrale, ma, senza aspettare l’arrivo dei colleghi, decise di intervenire comunque, sparandogli. Nonostante il poliziotto, durante il processo, avesse ammesso di aver sparato a Trayvon, non fu condannato ma dichiarato non colpevole, perché si sarebbe trattato di legittima difesa. Da quel momento cominciarono manifestazioni per la giustizia di Trayvon e sui social si diffuse l’hashtag #BlackLivesMatter e successivamente nacque l’associazione attivista Black Lives Matter in difesa dei diritti umani e civili degli afroamericani e contro ogni forma di razzismo e violenza perpetrati soprattutto dalla polizia.

Quest’anno, nel 2020, manifestazioni al grido del Black Lives Matter e del No Justice No Peace sono tornate a riempire le testate dei giornali, i servizi dei media e i social a seguito della morte di George Floyd avvenuta il 25 maggio a Minneapolis per mano del poliziotto Derek Chauvin, coperto da altri due polizotti, che ha soffocato l’uomo con la manovra del ginocchio sul collo, nonostante per 8.46 minuti George supplicasse e gridasse “I can’t breathe” (“Non respiro”). Il tutto è partito da una segnalazione di un negozio in cui George aveva comprato le sigarette perché pare avesse pagato con delle banconote false (forse inconsapevolmente). I poliziotti lo hanno fermato mentre era in auto e gli eventi sono poi tragicamente degenerati. Grazie ai video che hanno fatto il giro del web, si sono potuti identificare i poliziotti presenti, che sono stati inizialmente sospesi dal servizio, successivamente Derek Chauvin è stato condannato per omicidio di terzo grado e omicidio involontario – ora libero su dopo aver pagato una cauzione di mentre gli altri licenziati milione di dollari in attesa di processo – gli altri sono stati licenziati, accusati di complicità ma anche loro in libertà vigilata dopo aver pagato una cauzione di 750mila dollari.

Alla base di questi omicidi c’è chiaramente il razzismo da parte dei poliziotti bianchi che sfruttano il proprio potere contro le persone nere, ritenendole automaticamente colpevoli di qualsiasi crimine sulla base del colore della loro pelle. Ed è esattamente questo che è accaduto a cinque ragazzini (Korey Wise, Kevin Richardson, Raymond Santana, Yusef Salaam e Antron McCray) che nel 1989 sono stati accusati di aver picchiato e stuprato una donna che stava facendo jogging in Central Park, a Manhattan. Il loro caso è stato chiamato il Central Park Jogger Case e loro cinque i Central Park Five.

Ma vediamo nello specifico come Ava DuVernay ha deciso di raccontare la loro storia nella serie Netflix When They See Us.

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